sabato 8 febbraio 2014

Sei "addolorato", quando il sole tramonta?







...oggi devo andare al funerale di mio suocero, morto l'altra notte. Età 91, vita in cui ha ben dato e ben ricevuto: bella famiglia, 60 di matrimonio con la moglie ancora qui, due figli splendidi e una meravigliosa nipotina.. Una discreta salute che, tra un acciacco e l'altro, gli ha pur sempre permesso di godere sino all'ultimo di ciò che la vita gli offriva.

Ora sento dire, come di consueto in queste occasioni: "comprendo il vostro dolore", "mi dispiace" "sentite condolianze"; visi "bui", non un sorriso, ovviamente!
Tutte cose legittime, "normali", educate, che tuttavia in me - sempre più intollerante verso le formule della buona educazione preconfezionata - scatenano qualcosa... E' sicuramente una questione di "gusti personali", ma io sento di più chi si avvicina e mi mette una mano sulla spalla e magari mi dice, ti capisco, ti sono vicino oppure, semplicemente e senza parole, ti abbraccia. E capisco pure che molti fanno FATICA a pronunciare quella strana parola, condolianze! Eppure lo fanno: stringono i denti e lo fanno, i vecchi con più facilità, i giovani, quelli "ben educati", lo dicono, a bocca stretta, ma lo dicono... 

Ma andiamo oltre, sono piccole cose - penso fra me e me - il cuore deve esser più grande. Eppure, non riesco a non pensare che queste "piccole cose", a volte, siano un po' la cartina al tornasole del nostro mondo...

Io penso allora: un caso simile, stando al mio sentire, non andrebbe celebrato come esperienza di dolore (che pur c'è, ad ogni commiato); ci può può essere quel sentimento di tristezza melanconica, di silenziosa mestizia, inevitabile quando si accompagna un padre
(che è il "tuo papà") alla grande soglia. Dolore perché non rivedrai più quella persona; perché essa scomparirà per sempre, almeno sotto l'aspetto di quell'immagine che l'ha accompagnata sin qui e con la quale si è resa sensibile in questa vita. E la mancanza fisica lascia sempre un vuoto che è reale quanto lo era la sua presenza, nel bene come nel male.

Soprattutto, dolore per il "dolore vissuto", da lui e dagli altri, afflitti nel con-dividere la triste esperienza della malattia, se pur breve, e della trasformazione annichilente...
 

Ma voglio esser sincera sino in fondo, a costo di urtare la sensibilità di qualcuno che, leggendo le mie parole, si ferma all'apparenza: sotto sotto, io ci vedo la "gioia di una inconorazione", un po' come quando ti laurei e ti fanno la corona di alloro. Cosa significa il "fare una corona" quando uno muore? Non significa forse celebrare il compimento di un cammino, il conseguimento di un obiettivo?!? Non potrebbe significare dunque "incoronare la sua esistenza", celebrare la chiusura di un cerchio che, appunto, "con-clude" se stesso?

Agli sposi invece si prepara un arco fiorito che li attende... Anche qui siamo di fronte a un simbolo: il simbolo di una porta, quale ingresso al nuovo cammino... Quindi: stai portando tuo padre sul podio, per ricevere una medaglia! devi esser felice, orgoglioso, poiché tu sei chiamato a darne testimonianza! Non è come quando ti chiamano fiori dal gioco, improvvisamente, proprio sul più bello... "ma come, ho un sacco di cose da fare!! NON HO ANCORA FINITOOOOOOOOOO...." E quanto spesso questo accade... lo sappiamo tutti, purtroppo! Qui sì, è lacerante! Qui possiamo celebrare il "lascia tutto e seguimi"; oppure il "sì" della Madonna che è il Sia fatta la Tua volontà, non la mia..

Ma in una situazione come questa, non è diverso, forse?

Sei forse "addolorato", quando il sole scompare, per lasciare il posto al buio della notte? Certo, se sei in un bosco a cercare i funghi, bè... capisco...
Non lo sei, perché è nell'ordine delle cose e, forse, per alcuni, perché sai che presto ritornerà (e questo è il messaggio/simbolo/archetipo, più grande della ciclicità che si manifesta ovunque, nel grande libro della natura...) Ma se apri gli occhi o, meglio, li alzi al cielo, scopri i "doni della notte", quelli che solo questa sa dare e che altrimenti ti resterebbero per sempre celati.
Possono esser le stelle, tanto per "dare un corpo" al discorso; ma anch'esse in realtà sono un simbolo: per me sono le "terre interiori" che la notte ti permette di esplorare... terre che si scoprono nel buio, nel silenzio, quando chiudo gli occhi fuori e li apro dentro... Ma questo mondo (che ignora l'"altra faccia di se stesso" e thanatofobo) disconosce tutto ciò! Non riconosce che la morte è il concime della vita... che sono i nodi che tengono insieme l'arazzo, e che si vedono solo se "disgiri il tessuto".

Ecco, dobbiamo addestrarci a "disgirare il tessuto": vedere l'altra faccia delle cose, quella che sta sotto; i nodi che lo tengono insieme e che non si vedono, come le radici di un albero; questi nodi, come le radici appunto, sono il "significato" della vita stessa, sono ciò che la sub-stanzia.. E' un vero allenamento... non dobbiamo stancarci di farlo, se non vogliamo che la vita si riduca all'"insignificanza", che è il rischio, più grave, che il nostro mondo sta correndo.

"Qui - scriveva il grande James Hilllman - l'unica vera morta è la morte. Forse, occorre resuscitarla!"

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